LA POMAROLA

Vestavì è nata per caso: mentre affettavo ‘ ppomodori per fà r sugo… chiaro no?

O, sitti e buci eh? Un dite nulla alla mi moglie per carità.



Quer cardo d’agosto, vell’afa asfissiente
levavin di senno e opprimevin la gente.
Fiaccato, spossato, Gioè bofonchiava.
La fronte sudata unsovanto grondava

e anco le mano grondavin, di rosso;
che a fà la ‘onserva, ir succo va smosso:
i ppomi van cotti, spremuti e passati,
ma prima di còce van tutti tagliati.

Ridotti n portiglia, se bèn smantrugiati,
ti còcino prima e èn più prelibati;
per questo Gioele, mistiando l’odóri,
si dava da fà a spapporà ‘ ppomodori.

Un péntolo ar tàglio e ‘n pàgliolo sur fòo
(che deve ancor còce pe’ n’artro bèr pòo)
è quanto ni basta per e la stagione
che ancora riserva gran cardo e affrissione.

La moglie l’aiuta passiente e asservita
rumando ogni tanto la massa bollita
fin quando ni ‘hiede: - Ir sale l’hai misso?”
Gioele ci pensa con fare prolisso.

- “mah…, penso ‘he un serva…, di certo è salato,
con tutto ir sudore che mi c’è cascato.


dalla fioraia

du' dita di vino

i' llume d'Aladin

la mosca

la pomarola

l'ergastolo

strano mondo