POVERA BESTIA

Questa rima, ad un anno esatto dalla morte di mio fratello per incidente stradale, doveva essere per lui, ma i ricordi, i rimpianti, i rimorsi…, mi bloccavano il cuore e non riuscivo ad esprimere un bel niente.
Ripiegando sull'abitudine dell'abbandono dei cani qualcosa di buono č venuto fuori anche perché certe immagini, certi flash, sono riferiti ad Andrea.



Andavin trottellando per la strada
senza na mčta senza na ragion
in quella loro vita scarna e brada
senz’alcun fine, scopo, né illušion.

Felici allegri giöóndi e spensierati
come bimbetti che n chiedino ‘l perché
giravin per e campi e per e prati
alla ricerca d’un si sa di ché.

‘Uel nero aretro, ogni tanto n quando
indava a tuzicŕ ‘uel sů ‘ompagno
portandosi in avanti e po’ saltando
come volesse mordéni n calcagno;

l’altro, di pelagione rossa e liscia,
guaši intuisse le mire dell’amďo
con una scaramella si dibiscia,
tirando avanti n giňo vecchio stantďo.

Le bocche mežže aperte a prčnde fiato
pareva che facessin n ghignettin;
specchio e riprova di ‘ué’ loro stato
gagliardo, scapigliato e birichin.

Quel nero salta ancora di sghimbescio
coll’atto d’assestanni na zampata,
ma ‘ rosso piroetta e da rovescio
ni mostra ‘ denti a rčnde la boccata.

Di schermaglie n’avevino n canestro!
Un ni mancava certo sprillo o invento;
con quella fantašia e con quell’estro
potevino arivŕ all’invecchiamento.

Un lampo, un intuizion, ‘n presentimento
e ‘l nero scarta a lato n del fossato;
i rosso pensa sia n’antro cimento
e sguindola di lato corucciato.

Un tonfo, no schianto, un sol breve caě.
L’auto nemmen s’avvede della ‘osa,
ma intanto n corpo ešangue resta lě
sul ciglio d’una strada polverosa.

Il nero si riprende dallo strizza;
sorpassa rintronato ‘l mucchio informe,
lo sciagattěo dell’ossa e pelle vizza
del sů ‘ompagno ‘he stŕ lě, che dorme.

Va avanti…, fa dů passi…, ci ripensa…,
sbircia l’amďo che resta lě disteso…,
ritorna aretro e prova con pazienza
a fallo mňve; ma ‘uello u’ ni dŕ peso.

Col mušo incalza e stimola ‘l compare:
che fai? Un vieni? Dai facciamo n fretta;
la strada č lunga, c’č tanto da sgambare.
Ma ‘uello nun si trenna, u’ ni dŕ retta.

Ancora lů n capisce. Un ha ‘apito,
che quel caě ešalato come n canto,
‘uell’ultimo straziante sol guaito,
era al contempo come n riso e n pianto;

era n metrito d’atavďa memoria
un “mamma” al cičlo; ultima rďhiesta
d’estremo aiuto, o forse ‘onfessoria
rďhiesta di perdon di scorse gesta.

Lů resta lě n sul ciglio del fossato,
a bocca aperta con sempre ‘uel sorišo
in sulle labbra, un po’ pietrifďato,
rivolto al cičlo; rivolto al paradišo.

L’Eden de’ cani apre le sů porte
mentre la tčra, com’ultimo ‘onforto,
guaši a scaccianni ‘l freddo della morte,
col sol calante ni riscalda ‘l corpo.

Riprende ‘l nero la strada prefissata;
si ferma a trenta passi n’attimino,
si volta per dŕ n’altra sbilurciata
e a testa bassa richiappa ‘l sů camino.

La strada č lunga.


ir pescatore

ir can d'Ilaria

la vicina inviperita

pigrissia

povera bestia

strano mondo